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2024 April
Source| italiaoggi
Author|Newsroom
italiaoggi – Quella del Sessantesimo è una Biennale dell’altro mondo
L’arte e la politica. Il padiglione della Russia è chiuso (per volere degli organizzatori), quello di Israele è mezzo chiuso (lo hanno deciso gli artisti finché gli ostaggi a Gaza non saranno liberati), quello del Vaticano è spalancato (e inneggia alla pace). Siamo alla 60esima Biennale d’arte, a Venezia fino a 24 novembre, la prima del presidente Pietrangelo Buttafuoco, scrittore, ex dirigente del Movimento sociale e convinto supporter del berlusconismo, che ha preso il posto di Roberto Ciccutto, nominato da Dario Franceschini nel 2020, a sua volta successore di Paolo Baratta, che nel 1998 venne nominato da Walter Veltroni e Romano Prodi. Adesso è toccato a Gennaro Sangiuliano che ha scelto Buttafuoco. Anche questa è politica. La Biennale rispecchia le indecisioni e le incertezze degli artisti, che in questa fase storica si dibattono tra guerre (militari e commerciali), minacce trumpiane negli Usa e rigurgiti autoritari in Europa, economie e benessere che languono sia nelle aree ricche che in quelle povere ma presunte in ascesa. Neppure l’arte si raccapezza in questo caos e la Biennale lo registra, con buona pace del curatore Adriano Pedrosa (all’attivo molte biennali in giro per il mondo, è direttore artistico del Masp, Museo de arte de Sao Paulo, Brasile), che ha selezionato 300 partecipanti di 90 Paesi issando la bandiera del multiculturalismo, cancellando però l’opportunità di vagliare e proporre le vere tendenze che cercano di interpretare lo zigzagare del mondo.
Pedrosa, siamo sempre stranieri, stranieri ovunque
Non si esce certo dalla Biennale con le idee chiare e ci si mette pure il titolo a intrigare, Foreigners Everywhere, Stranieri Ovunque, così spiegato da Pedrosa: «Siamo sempre stranieri, Venezia per esempio fu fondata da profughi che hanno poi commerciato in tutto il mondo. I migranti forzati sono più di cento milioni e gli artisti sono sempre stati migranti». Non a caso sulla facciata del Padiglione Centrale vi è un grande murale firmato dal collettivo brasiliano Mahku. L’Occidente è dietro la lavagna. Nulla o quasi la presenza di Francia, Inghilterra, Stati Uniti. Per due anni Venezia avrebbe dovuto essere la capitale mondiale dell’arte. È nvece un palcoscenico di aspiranti emergenti. «Gli artisti indigeni hanno una presenza emblematica», spiega Pedrosa. «Io sono il primo curatore apertamente queer (termine che indica chi non si riconosce in un unico genere definito, Ndr) della Biennale. Vengo dal Brasile, un paese che ha marginalizzato gli indigeni. I portoghesi l’hanno colonizzato ma ha ospitato anche la diaspora africana, giapponese, africana. Per questa esposizione ho privilegiato chi non ha mai partecipato». Infatti per trovare artisti affermati bisogna scandagliare col lumicino e così si arriva a Filippo de Pisis, Domenico Gnoli, Tina Modotti, Maurizio Cattelan, Frida Kahlo, Diego Rivera. Tutto qui. I premi (Leoni d’oro) sono stati assegnati (alla carriera, data l’età) ad Anna Maria Maiolino (1941) nata in Italia ma residente in Brasile, e a Nil Yater (1938), turca ma residente a Parigi.
Al milanese Luca Cerizza il padiglione Italia
Il padiglione dell’Italia è stato affidato al milanese Luca Cerizza e ha al centro un contenitore d’acqua rasoterra che sembra respirare mentre diffonde la colonna sonora realizzata da Gavin Bryars. Significato? «Quello di un essere umano che si percepisce come un albero, connesso al mondo attraverso radici», assicura Cerizza.. Aggiunge: «Mi piacerebbe che, entrando nel padiglione, si rimanesse in silenzio per cinque minuti. Questo progetto consegna la supremazia all’ascolto invece che al visivo». L’unica iconografia presente è il Buddha, cosa c’entri con l’Italia non si sa ma Cerizza ci prova: «Il Buddha è la figura di un illuminato che, raggiunta l’illuminazione, vi rinuncia per indicarla ad altri uomini». Il progetto è costato 1,2 milioni, di cui 800 mila euro sborsati dal ministero di Gennaro Sangiuliano. Ma la Biennale, per lavori di ristrutturazione, sta ancora aspettando i 170 milioni promessi col Pnrr da spendere entro il 2026.
Carta fotosensibile per il temporale notturno nella foresta
Tra i padiglioni quello del Perù, con al centro un fotogramma monumentale dell’artista Roberto Huarcaya che nel cuore della foresta amazzonica, ha dispiegato un rotolo di carta fotosensibile di 30 metri sotto una palma altissima durante un temporale, permettendo ai fulmini di impressionare con le loro tracce la pellicola durante la notte. Mentre il padiglione del Vaticano è nel Fuori Biennale, è stato ubicato nella Casa di Reclusione femminile alla Giudecca. Qui le 80 detenute hanno allestito l’esposizione (titolo: Con i miei occhi) delle opere di una ventina di artisti, guidati da Maurizio Cattelan e Claire Fontaine, la quale ha installato nel cortile un neon: Siamo con voi nella notte. Il Papa arriverà il 28 aprile (sarà la prima volta di un Pontefice alla Biennale).
Proposte da vedere fuori delle due sedi tradizionali
Cos’altro vedere al di fuori delle due sedi (Giardini e Arsenale) tradizionali della Biennale? Alcune proposte: 1. Fondazione Ligabue presenta Futuro Remoto, ricerca del fotografo Domingo Milella che si svolge nelle sale di Palazzo Erizzo Ligabue, riportate a nudo dai lavori della Fondazione che potranno essere visitate al buio, dopo il tramonto; 2. Museo di Palazzo Grimani. Con la prima personale in Italia di Rick Lowe e le sue composizioni rettangolari; 3. Gallerie dell’Accademia. Propongono Willem de Kooning e l’Italia, mostra dedicata ai due periodi che de Kooning ha trascorso in Italia, nel 1959 e nel 1969 4. Peggy Guggenheim propone Jean Cocteau-La rivincita del giocoliere, che ripercorre i momenti salienti della sua tumultuosa carriera artistica; 5. Negozio Olivetti, gestito dal Fai, ospita Le forme del vetro, a cura di Tony Cragg; ; 6. Museo Storico Navale, con gli artisti del Kazakistan; 7. Ca’ Rezzonico e Palazzo Ducale con le 15 statue realizzate in mesh, un intreccio metallico, da Lorenzo Quinn; 7. Museo Ca’ Pesaro con un’antologica di Armando Testa; 7. Fondazione Vedova. Ha allestito la personale dell’austriaco Eduard Angeli: il 12 novembre 2019 Venezia venne colpita dalla più grave acqua alta registrata dagli anni Sessanta. In quei giorni l’acqua salata inondò anche lo studio al piano terreno della casa dove l’artista abitava da 15 anni, col danneggiamento e la distruzione delle sue opere. Un evento che lo sconvolse al punto da fargli lasciare la città e rientrare a Vienna; 8. Chiesa di San Fantin con le sculture di marmo di Reza Aramesh; 9. Abbazia di San Giorgio Maggiore con gli arcangeli della belga Berlinde De Bruyckere; 10. Ca’ Foscari che con L’avanguardia nel deserto dà un saggio, con un centinaio di opere di fine 800, della vivacità artistica dell’Uzbekistan.
Tre appuntamenti con l’arte della Cina
Inoltre tre appuntamenti con l’arte della Cina: a Palazzo Querini-Fondazione Ugo e Olga Levi per Seminare speranza «La Speranza è il solo bene comune a tutti gli uomini») titolo della mostra del poliedrico artista cinese Cen Long, curata da Laura Villani. Alla Scuola Grande della Misericordia espone un altro artista cinese, Zeng Fanzhi. Infine Capsule Shanghai è una galleria cinese che ha deciso di aprire una sede a Venezia e la inaugura con una collettiva di 29 artisti.